lunedì 12 maggio 2008

W i giovani

Sono ottimista. Oggi arrivo al lavoro e cerco parcheggio. Un anziano signore mi fa capire che sta per salire sulla sua automobile. Ecco le vecchie generazioni che lasciano il posto alle nuove. E poi dicono che viviamo in un paese gerontocratico.

giovedì 8 maggio 2008

LA PRIVACY DI GRILLO


Il giornale di cui pensavo essere il condirettore, oggi pubblica un articolo che mescola il fenomeno Grillo con l’argomento di attualità di oggi che è la questione dei redditi sventolati ai quattro venti.
Non condivido la scelta di intrecciare i due argomenti. Il fenomeno Grillo è questione molto delicata. Difficile da dipanare senza sviscerarla con un’analisi obiettiva. Obiettiva innanzitutto, da fini politici. Obiettiva, nel senso di non nascere già viziata da pregiudizi indotti dalla forza mediatica delle forze pro-Grillo, contro-Grillo, e di Grillo stesso.
Premetto, per il lettore, che non mi definisco un osservatore particolare delle vicende politiche di questo paese. Umilmente raccolgo le impressioni di quello accade con i strumenti da cui può attingere qualsiasi italiano: la TV, i giornali, la radio e la partecipazione in Piazza ad eventi, comizi. Comizi, anche se non li chiama più nessuno così. Non posso quindi vantare informazioni di prima mano, scoop, o interviste ufficiose, rilasciatemi da chi è informato dei fatti o a conoscenza di scabrosi retroscena.
Non amo Grillo, né Travaglio, né Di Pietro. In particolare di Di Pietro non tollero il cattivo ed improbabile uso dell’italiano. Non lo voterò mai per questo. Punto.
Detto questo, mi permetto di porre un paio di osservazioni. Grillo, da comico, ha svolto una serie di campagne di inchiesta che hanno avuto il merito di portare all’attenzione dei più questioni spesso censurate o comunque oscurate dalla informazione ortodossa. È stato bravo a veicolarle con la vis comica che gli è propria. Utilizzando degli strumenti innovativi per il dibattito sociale e culturale del paese: internet. Molti, politici, giornalisti - penso ad esempio a Daniele Capezzone - hanno provato a fare lo stesso. Capezzone, in particolare, creando il network Decidere.net. Ma nessuno è riuscito a catalizzare lo stesso consenso ed la stessa attenzione di Grillo. E bisogna riconoscerglielo. Anche perché l’inchiesta, in Italia, è disciplina che non esiste da tempo. Tranne sparuti casi, es. la Gabanelli di Report, non esiste più nelle redazione giornalistiche la figura del giornalista che fa inchiesta, il giornalista d’assalto. In compenso, i giornalisti nostrani hanno tanti avatar e altrettanti blog. Stanno a casa lamentando il precariato che non gli permette la flat. Bene.
Da questo punto di vista, se il fenomeno di Grillo si esaurisse nella formula inchiesta – satira, sarei dell’avviso che Grillo, indipendentemente da quanto guadagna, è da considerarsi una risorsa del paese. Almeno per quanto riguarda la salute del sistema informativo.
Ma non è così. Grillo ha coagulato attorno a sé molte persone. Pezzi interi della società civile. È uscito dai teatri, e ha lasciato lo studio da dove gestisce il suo blog, per invadere con il suo Circo le Piazze. La sua attività di denuncia si è colorata e si è sostanziata di esternazioni che sono “politiche”. Esternazioni, che hanno riempito quel vuoto, che hanno colto l’opportunità che le sue stesse inchieste avevano preparato. Ecco. Questo è il punto.
Gli spunti che Grillo pone hanno creato degli spazi. E questi spazi vanno riempiti. Le sue inchieste impongono delle riflessioni. E le riflessioni vanno raccolte. Ma non può essere lo stesso soggetto che le raccoglie. A meno che questi non si identifichi come tale. Ovvero decida che il tempo dell’inchiesta è finito e che adesso inizia una fase politica della sua azione. Se Grillo vuol fare il Politico, bene. Giochi le sua carte. Ma lo dica. Lo comunichi in maniera trasparente. Indipendentemente da quanto è il suo reddito. Sarà l’opinione pubblica a valutare la sua coerenza, la sua immagine. La sua capacità di interpretare e rappresentare la società.
Finché Grillo continua a mescolare le esternazioni che hanno natura e connotazione politica alle inchieste, alle denunce, e continuerà a farlo con toni urlati e qualunquistici non è credibile. Né come comico, né come politico.
Caso emblematico è la sua esternazione su Veronesi. Grillo sostiene che Veronesi non è credibile quando dice che gli inceneritori non fanno male. Questo perché la sua Fondazione vede tra i principali sponsor una delle aziende leader nella produzione di inceneritori. Nella stessa esternazione c’è un pezzo di un monologo comico, satirico ma anche un’esternazione dal contenuto politico. È una posizione conflittuale. Equivoca, superficiale.
Dimostra poco rispetto e poca responsabilità nei confronti della piazza che ha saputo coagulare attorno alle sua forme comiche di protesta.
Ma allora? Allora ritorniamo al problema fondamentale della nostra democrazia rappresentativa da cui non ci sentiamo veramente rappresentati. Alla necessità di investire nella amministrazione della propria cosa pubblica. Bisogna uscire da certi schemi obsoleti. È utopistico pensare ad un uomo politico senza interessi e senza macchia. È indispensabile riformare il meccanismo di rappresentanza politica. Chiunque deve poter scendere in Politica. E deve poterlo fare raccogliendo i fondi, le risorse da coloro che intendono appoggiarne la candidatura. E bisogna abituarsi a farlo in maniera trasparente ma anche impegnata. Partecipativa. Estremizzando mi verrebbe da dire: “Alla sera niente TV. Si va alla riunione in cui si decide come costruire il proprio futuro!”. Dal basso.
È anche vero che un fenomeno come il grillismo non ci sarebbe se ci fosse una Politica che sappia dare speranza e visione. Non è vero e non voglio credere che l’italiano oggi si accontenta della ricetta take away proposta dalla destra berlusconiana. Personaggi come Gasparri, o come Ronchi, come La Russa, Cicchitto, Sacconi, Tremonti stesso, non possono essere i rappresentanti di un paese come il nostro. Sono reduce da un breve periodo trascorso in Francia dove ho dovuto sentire il ritornello classico dell’italiano all’estero:”Qui funziona tutto e meglio”. “Siamo meglio organizzati, meglio protetti, meglio tutelati, meglio pagati”. “In Italia fa tutto schifo”. Già, come fosse un paese del terzo mondo. Dove il politico medio si chiama Cuffaro, la Sicilia è tutta mafiosa e non ci sono più le mezze stagioni.
L’economia che dipinge Tremonti è un’economia di piccolissimo periodo. Di chi ha la visione del consigliere di amministrazione, o del consulente fiscale. Gergalmente detti “Ragionieri”. Quei ragionieri che sanno come dichiarare 10 mila Euro di fatturato pur gestendo i conti economici di Aziende che fatturano milioni di Euro. Ah scusate violo la privacy…
Abbiamo bisogno di un Politico che abbia il coraggio e la vocazione per parlare di solidarietà, di energia nel rispetto del pianeta. Di chi auspica una riduzione della sperequazione globale e locale. Di uno che in politica estera sappia uscire dallo schema pro o contro Israele ma ponga una questione antimilitarista in senso lato. Riferita a tutti i punti caldi del pianeta.
Che cerchi di farsi promotore di una politica delle alternative contro quella muscolare impressa ferocemente da Bush.
La Cina ha investito ingenti somme di denaro in armamenti per fortificare e proteggere i gasdotti attraverso i quali si approvvigiona dal Pakistan. Prima o poi il rischio di una crisi militare che parte dal Sud Est Asiatico sarà sempre più concreto.

Bisogna credere in un futuro migliore per il pianeta. Gli aerei e internet ce lo fanno sembrare così piccolo che induce quasi tenerezza.

lunedì 5 maggio 2008

MF INTERVISTA FRANCESCO REMOTTI

LibMagazine: non pensa che deideologizzare la politica a sinistra abbia anche svuotato la cultura di sinistra? Come riempirla ora, come ricostruirla?

F.Remotti: la sinistra era il marxismo. Quella era l’inspirazione. Oggi, per quanto a me piaccia dire che rileggersi il buon vecchio Marx non faccia male a nessuno, il marxismo si è autoeliminato. Il marxismo era una profezia laica che aveva il grande punto debole di pensare di sapere dove andava il mondo. La Chiesa può permetterselo perché ha altri strumenti.

LibMagazine: le maschere di cera?

F.Remotti: diciamo di si.

continua

giovedì 1 maggio 2008

PUNTO ESCLAMATIVO

Nell'iperattivismo quotidiano ci si ritrova, spesso, soli. Egoisticamente, cinicamente soli. C'è una forma di affermazione che l'uomo vive su di sé. Un affermazione di sé sopra di sé. Sé, Che poi è il compagno di banco. Il vicino di sedia, colui che coabita la striscia pedonale o il rosso al semaforo.
Un'affermazione non può non passare se non attraverso la sopraffazione. Perchè non esistono affermazioni, quelle stentoree, quelle perentorie, che non siano prevaricatrici. Sono supportate dalla ragione, hanno a sostegno delle tesi, vengono da una logica deduzione o da un civile scambio dialettico. Bene. Ma alla fine dell'affermazione, il punto esclamativo è il vessillo che pianti sul terreno ideologico dell'avversario. E' il segno della conquista della rugbystica yard. E si finisce soli. Perchè quando si è chiuso il ragionamento con un' affermazione vincente, si è comunque perso qualcosa.
Cazzo che vuoto! Ed il punto esclamativo te lo infilzi nello stomaco. Quello stesso vessillo che, prima, avevi piantato alla fine della corsa verbale, dalla sella della tua sintassi galoppante.
E così è andata anche oggi. Quando alla fine della giornata ti accorgi che dietro il tuo trattore iperproduttivo hai lasciato tanti punti esclamativi. Messi, (ch) e non germoglieranno. E scopri una delle mille storie che da sopra del tuo trattore non riesci neanche ad ascoltare. Che ignori. Quella di chi vede cambiare la sua vita, radicalmente per l'improvvisa morte del padre. L'attività di famiglia, il ristorante non è più sostenibile. Lo chef è il vantaggio competitivo. E' il perché alla sera c'è gente o non ci sono coperti. Si chiude. Perché una giovane figlia, ferita nell'intimo, non riesce a tenere duro. Non ce la fa. E lascia l'attività.
Adesso, tanti piccoli lavori, tante piccoli parti come se la vita fosse fatta da tanti film. Sperando che un bravo regista ti prenda finalmente per un ruolo più consono. Certo, nel mondo del cinema o del teatro, chi durante la gavetta faceva la prima puttana generalmente ha avuto, poi, grande successo. Ma la vita non è il cinema. E non è il teatro anche se, spesso, è una tragedia. E la puttana la si deve fare prostituendo la propria natura, le proprie inclinazioni allo strapotere borghese. Quello che premia l'arrivismo del manager napoleonico, piuttosto che la bonaria e un po' pacioccona maestra d'asilo. Che preferisce il giovane smaliziato e sgomitante, al più pacato e riflessivo analista. Una società che sostituisce le segretarie come inutili commodity. Una società, la nostra, fatta di figli che non hanno ancora imparato a rispettare la madre. Che non hanno ancora capito che è una donna.

mercoledì 30 aprile 2008

LA COLPA E' DELLA FACCIA

Cantautore. Come sottofondo poteva anche andare "Mi fido di te" (2005). Ma il problema, poi, sono sempre "Los Numeros" (1990)...

REVISIONISMO

Per la Prestigiacomo questa legge elettorale non è poi così male...

I SUFFISSI DELLA CAMERA

Gli -ini hanno buone possibilità di superare gli -otti

martedì 29 aprile 2008

ROMA

Rutelli: da Cesare a Cesarone...

lunedì 28 aprile 2008

LA COLPA E' DELLA FACCIA

Architetto, dall'accento romano, un po' cafone nella forma e nella sostanza

domenica 27 aprile 2008

LIBERALI

L’accento è importante. E permette di giocare. Spostatelo sulle sillabe del titolo e vedrete. Si moltiplicano sui blog, sui tanti giornali telematici, tra le righe di molti discorsi di economisti, giornalisti, corsivisti e parlatologi di professione, i proclami, i messaggi e gli intendimenti liberali. Liberali, si. Oggi sono tutti liberali, ci sono circoli liberali, movimenti liberali e centri studi liberali. Liberali!
Come se bastasse la sintassi, un certo atteggiamento, certe frequentazioni, lo stare in certi salotti. Inciso - Avete mai visto un povero liberale?-.
Andrebbe data forza all’azione. Spostandone, magari, anche il punto di applicazione. Il fisico dice che se non sposti il punto di applicazione della forza non produci lavoro. Fermo e inoperoso. Ah, ah, ah. Liberali!
Ma questa è la nostra Italia eclettica. Esempio inimitato dell’estetica non aristotelica. Per definizione l’estetica del “non fare”.
Torino quest’anno è la capitale del Design. Milano è riuscita, grazie ad una cordata di pochi, pochissimi nodi di notabili, ad accaparrarsi l’Expo del 2011. Ed eccoli i liberali a far festa. Pensano già al dinamismo, al muoversi dei capitali, allo sprigionarsi delle risorse, allo sviluppo ed al rilancio. Questo è il lessico del liberale, questo è il suo patrimonio concettuale. L’armamentario verbale del liberale nostrano immobile in un punto. Il liberale muove le labbra e cerca subito di appropriarsi dell’evento, di accostarsi ad esso nella speranza di conquistarne qualche benefico riflesso. Liberali!

Continua

sabato 26 aprile 2008

PIO DENARO

Uno dei capitoli più importanti del marketing è quello relativo al marketing dei servizi. Il marketing in sé è disciplina recente. Il marketing, che nasce negli Stati Uniti, raccoglie, sotto un’unica egida, quel complesso di tecniche e di metodologie volte a spiegare come identificare un’utenza che manifesta un bisogno, e come soddisfare tale bisogno proponendo un’offerta che massimizzi i profitti.

Più i bisogni sono sincretici, disaccoppiati dai bisogni materiali, come direbbe Maslow, dai bisogni primari per la sopravvivenza, più il marketing diventa l’unica arma per le aziende produttrici di beni e di servizi per sopravvivere sul mercato.

E’ paradossale, ma l’entropia del business capitalistico si consuma in questo paradossale loop. Da una parte ci sono i clienti. Che siamo noi. Pigri ed indolenti, insoddisfatti dal vedere soddisfatto ogni impulso istintuale e materiale. Dall’altra chi deve offrirci qualche cosa. Che, poi, siamo sempre noi, o qualche nostro simile, quello posto, nella manfrina della compravendita, dall’altra parte della barricata. Più noi facciamo fatica a trovare prodotti attraenti, sopraffatti come siamo dal superfluo, un po’ come Nerone sul triclinio; pronti a sbuffare di fronte ad un’offerta statica e poco attraente, più il nostro simile, dall’altra parte della barricata, lotta retrocedendo lungo la piramide di Maslow. Non vende e diviene povero. E retrocede. Lui deve vendere, deve inventarsi un qualche cosa che possa soddisfare un qualche bisogno. È costretto, darwinianamente, a creare bisogni anche dove questi non ci sono. La casa farmaceutica crea prima Chimera e poi Bellerofonte. Così è.

Ma torniamo al marketing dei servizi. Se il marketing di un bene manifatturiero è già, di per sé, qualcosa di sovrastrutturale, all’interno dell’ingranaggio socio-psicologico del consumo, quello dei servizi è la sua esasperazione. Provate a vendere un viaggio, un servizio di manutenzione. Provate a vendere qualcosa che non si vede, o che non si può toccare. E fatelo misurandovi sul mercato in mezzo a terribili concorrenti. È durissima.

Nel marketing dei servizi, occorre dare al servizio fisicità. Fisicità = rassicurazione. Pensate a quando entrate nella agenzie di viaggio: le navi di crociera e le hostess di cartone, i mille depliant, le piantine e i modellini dei tanti resort sparsi per il mondo. A far bella mostra, per cucire la distanza tra la vostra periferia urbana e le coste bellissime o gli atolli paradisiaci. Fateci caso, l’impiegato dell’agenzia vi lascerà portare a casa tutti i gadget che volete. Saranno il segno tangibile della vostra presenza in agenzia. L’oggetto fisico che, si spera, contribuirà a costruire in voi il convincimento che il servizio che state cercando sia proprio quello.

Pensate adesso alla più grande agenzia di viaggio della storia. Viaggi di sola andata. Tant’é. Loro dicono che non è corretto dire che il viaggio è di sola andata. Ma che è un viaggio che non finisce mai. Un tour bellissimo senza fine. E così sia….

Anche lì ci sono dei resort da pubblicizzare. E tra qualche giorno, è proprio periodo. I problemi sono i medesimi. Marketing di servizio, turismo. Loro ti dicono che ci devi credere. Che devi avere fede. Non fiducia, ma fede. Ma la sostanza non cambia. C’è bisogno di dare fisicità alle loro proposte. L’ideale è metterti in contatto con uno che ha già fatto il viaggio. Un opinion leader. Un esempio? Prendete la riesumazione di Padre Pio! Non vi sembra un ottimo opinion leader? Non storcete il muso, mica prendo queste informazioni dal Kotler. Cito testualmente Stefano Campanella, il direttore di tele radio Padre Pio. Questi, a sua volta, cita padre Colacelli: “Dio si è mostrato facendosi uomo. I fedeli chiedono segni tangibili, basta pensare a San Tommaso. Paolo VI ha definito Padre Pio un rappresentante stampato delle stimmate. Il suo è un corpo che ha parlato oltre il linguaggio verbale”.

In un periodo di grande sincretismo. Un periodo in cui ognuno vuole sentirsi unico, cercando nei prodotti quel senso di unicità che non trova dentro di sé, un’azienda come la Chiesa, che fa marketing da millenni, non può stare a guardare. Deve cercare di fare penetrazione di mercato. Fornire una risposta a questo bisogno, a questo senso di solitudine. Un senso di solitudine che è poi lo scarto di processo, il residuo, di una società, quella piccolo-borghese, che ha caratterizzato l’Italia per 50 anni.

Come tutte le aziende customer-oriented la Chiesa non ha badato a spese. TV, magazine, radio. Il Gargano si è trasformato in paradiso…

Ed i numeri sono da multinazionale. Teleradio Padre Pio sta per 15 ore sul satellite ogni giorno in Europa e Nord America. Tre messe, due rosari, due contenitori di approfondimento e uno spazio per la catechesi.

Dal giorno dell’annuncio della riesumazione siamo a 301.236 richieste, di chi vuole essere a San Giovanni Rotondo entro Maggio. I Frati pare abbiamo chiesto un mbo sulla vendita delle statuette.

giovedì 24 aprile 2008

BUSINESS PEOPLE

Ci trovi articoli sul mondo della Moda, sui tacchi a spillo. Immagini e foto di campi da golf, con i consigli per i green più entusiasmanti. Le inserzioni pubblicitarie sono molto cool. Yachts della Azimut, e la nuovissima Fiat Croma. Che glamour.
È così glamour che si permette di guardare i business man italiani attraverso il linguaggio deformante dei fumetti. Marchionne, l’A.D di Fiat è l’incredibile Hulk, Marco Tronchetti è l’uomo tigre. Profumo di Unicredit, Capitan America. Insomma la rivista graffia e adula allo stesso tempo. Che glamour.
Poi, giri pagina, e ad un certo punto ti imbatti in un articolo che parla di Pubblica Amministrazione. E giù con i soliti rosari: “Il Lazio spende di più della media nazionale perché ha il maggior numero di dipendenti” – “perché la media dello stipendio pro capite è la più alta d’Italia”. Proprio non me l’aspettavo. Così popolare, dopo essere stato tanto glamour.
Ma allora, a chi si rivolge questa rivista? Nel commercio c’è sempre uno che vende ed uno che paga. E qui, allora, chi paga? Butto l’occhio al prezzo, variabile spesso molto esplicativa dei posizionamenti di marketing. 3,50 €. Poco. Non è il prezzo la leva del posizionamento.
Torno ad esaminare con attenzione la copertina. Ecco. Il titolo della rivista:“Business People”, e poi sotto Oliviero Toscani. Provocatorio.
È così. Il prezzo è accessibile ma la copertina differenzia e segmenta. Bene. Un pubblico tipico del “Cù sa senti sa sona”. Una rivista che parla del business rivolta agli uomini che fanno business, che vivono del business. Funzionari, manager. Pubblici e privati. Alé.
Penso quindi che l’articolo sulle P.A. sia destinato ai funzionari pubblici. Per spiegare loro l’importanza di una razionalizzazione. Certo, è così che deve essere. Oppure non è improbabile quest’altro scenario. L’articolo vuole raccontare ai manager italiani come vengono spesi i soldi delle loro multe. Eggià. Anche questa potrebbe essere. Se si vuole operare una riforma di un ambito così delicato e socialmente sensibile, occorre creare consenso. Comunicare l’urgenza degli interventi delle necessità a coloro che lì operano, o a coloro che, della riforma, possono beneficiare.
Eppure mi dico: “Se è così chiaro, lo dicono le statistiche, che in Lazio ci sono più impiegati della media nazionale perché non razionalizzare? Senza stare a fare tanto chiasso?”.
Come per le inchieste della Gabanelli. La Milena di Report. La Gabanelli sa tutto. Sa chi è stato, dove sono finiti i quattrini, i nomi delle multinazionali compiacenti. I giri attraverso le scatole cinesi su internet. Molti dei chiamati in causa dalla Gabanelli non accettano mai di parlare ai suoi microfoni. E noi, i telespettatori di Report, non possiamo che farci l’idea che questi signori hanno la coscienza sporca. E che la Gabanelli ci ha visto giusto ancora una volta. Magari, al lunedì mattina, vedendo un bancario che va al lavoro, ci viene voglia di stenderlo al semaforo. Ma è impulso subitaneo. Poi, guardiamo il sorriso con la lingua di fuori di Del Piero sulla Gazzetta e ci passa.
Ed invece, al lunedì mattina non vanno a prendere nessuno. Né vanno a recuperare i soldi prelevati illegalmente, secondo i giri strani individuati da Milena. Il lunedì, le pubbliche amministrazioni che sono irrazionalmente troppo grandi, decidono, razionalmente, che è arrivato il momento di condurre un’indagine su che percezione hanno, del servizio da loro erogato, i cittadini italiani. E quindi, chiamano Accenture, una importante e costosa società di consulenza, branca della Arthur Andersen, e le commissionano questo studio. Fantastico!
Sapete che cosa ne viene fuori. Roba da scienziati! Accenture, dopo alcuni mesi, scopre l’inaspettato: “Gli Italiani non sono soddisfatti della pubblica Amministrazione!”
Cazzo non l’avrei mai detto!
Accenture certo non sarà McKinsey, la società dove si è formato Profumo di Unicredit. Il laboratorio dove un certo esperimento lo ha tramutato in Capitan America. Tuttavia rimane tra le società più quotate. Al punto che per il Politecnico di Torino è un’ignominia se i propri neolaureati, ingegneri, non vengono scelti da queste società di consulenza. In fondo la pubblica amministrazione rappresenta le fondamenta della cosa pubblica, della vita civile del paese. Deve essere proprio così. Senza ingegneri come si fanno a studiare le travi e i solai della nostra burocrazia?

mercoledì 23 aprile 2008

I FILIBUSTIERI

XXVII secolo. I fratelli della costa costituiscono una repubblica galleggiante. Dei bucanieri, da cui molti di essi provengono, hanno ereditato i valori di una vita in comune. Dividono il cibo, la sporcizia delle radure, le alterne vicende di una vita libera ed indipendente.
Molti di loro hanno lasciato il vecchio continente, la Francia, l’Olanda, l’Inghilterra alla volta del nuovo Mondo. Siamo nei Caraibi, tra la Tortuga e le mille isole ed atolli delle Antille. Tra colpi di cannone e il fumo delle polveri da sparo. Quello che segue le scintille. Un po’ pirati, un po’ goliardi e un po’ beoni, i filibustieri sono gente pacifica e libera. Tranne che con gli Spagnoli. Tranne contro l’imperialismo di questi.
Il mare dei Caraibi come la foresta di Sherwood. Rande, sartie, fiocchi e boma come frecce, faretre e archi. Prendono di mira ricchi galeoni Spagnoli. Una sorta di redistribuzione delle ricchezze. Del resto, in Europa, gli Spagnoli e i Portoghesi sono i padroni del mare. Ma, qui nel nuovo mondo le gerarchie sono diverse. I filibustieri significano quel piccolo contrappeso, nel gioco di spinte e controspinte, dell’economia mondiale. Che, all’epoca, vedeva volgere il suo baricentro nella vecchia Europa e precisamente nell’iberica penisola.
Ma la questione non è solo confronto tra il più forte ed il più debole. Tra Davide e Golia. Ci sono due mondi che si confrontano, anche se solo nel breve consumarsi di un arrembaggio. Da una parte, la tradizione, il cattolicissimo impero Spagnolo. Feudale e gerarchicamente organizzato. Senza ascensori sociali. Dall’altra, chi da quel mondo ha preso le distanze. Che poi, vai a sapere, come per le zitelle, potremmo anche pensare che chi se ne è andato non ha deciso da sé, ma è stato invitato a farlo. Ma non importa. Certo è che il filibustiere è il rappresentante di una società aperta e libera. In cui la proprietà privata non conta. Dove non contano gli aggettivi “mio” e “tuo”.
Piccoli drappelli di filibustieri valgono cento Spagnoli. Su carrette travestite a velieri si accostano ai ricchi galeoni del Re. Con i favori della nebbia mattutina, affondano la propria imbarcazione e si lanciano come demoni all’assalto del futuro ma incerto bottino. Da una parte l’effetto sorpresa, ma anche il bigottismo Spagnolo. Gli Spagnoli, molli ed addormentati, non capiscono da dove arrivano, li pensano diavoli inviati dal cielo. Il cristianesimo credulone facilita la cattura.
Banditi del mare, certo. Più volte trucidati dagli Spagnoli, decenni prima, i filibustieri costituiscono una sorta di repubblica marinara non riconosciuta. Il denaro e il bottino, certo. Prima di tutto. Ma anche valore, coraggio, audacia. Sorpresa, intuito, destrezza e fortuna a renderli personaggi positivi di saghe d’ avventura. Succhiano il midollo delle bestie che cacciano per sfamarsi. Bestie cacciate e non allevate. Ché la libertà, quella di giocarsi le proprie carte, è data a tutti. Anche alle bestie.
La distanza e l’asimmetria tra il mondo dei filibustieri e quello dei governi da cui molti di essi provengono è algebricamente incalcolabile, forse solo definibile geometricamente, attraverso l’indeterminatezza dell’assenza di intersezioni. Intersezioni che poi, di soppiatto, si verificano nel piano del mare, in mezzo ad una luce abbacinante, quella figlia dell’incontro tra la polvere da sparo con la pietra piezoelettrica.
Che differenza c’è tra il rapporto tra la Spagna, l’Olanda di quei tempi con le Americhee il rapporto che oggi c’è tra l’Occidente con la Cina e l’India?
Probabilmente, molto, molto poco. Poco se si guarda all’infinità del tempo all’interno del quale si collocano questi secoli come infinitesimi intervalli temporali. Molto se invece al cospetto di esperti di ogni singola epoca ci fermiamo ad ascoltare minuziose e dettagliatissime analisi o affascinanti e suggestivi aneddoti.
Quel che è certo è che, in questi infiniti cicli storici, si alternano geograficamente in maniera democratica governi che si trasformano in imperi. Imperi che esercitano il ruolo di colonizzatori e di dominatori rivendicando una posizione di superiorità culturale e politica nei confronti degli altri, quelli in via di sviluppo. Questi cicli generano isteresi. Isteresi politica ed economica. Uno degli effetti è che quel luogo, un tempo occupato dai filibustieri, è in mano alle propaggini dell’economia canaglia. Non c’è più quel contrappeso, quella strenua difesa, l’intifada dei mari che, sgomitando, ricorda ai dominatori che la libertà è un valore per cui ha senso vivere ma anche morire. Che, oltre al denaro, esistono dei valori civili non contendibili.
Economia, economie canaglie invece. Banditi che si dedicano alla pesca di frodo. Quella che lava il denaro sporco della Mafia Russa attraverso i merluzzi Findus e il Salmone Norvegese.
Con la caduta del muro e dell’impero sovietico, il bosco non ha più né il cattivo Duca di Nottingham né il suo Little John.
Il molosso sovietico, seppur con le sue storture e bieche contraddizione, esercitava un controllo, un presidio dei mari, quello di Barents o del Baltico.
Oggi si subiscono gli effetti degli imperi e della globalizzazione supinamente. Lasciando a loro, alle economie canaglia anche lo spazio che fu della ribellione. E noi, tutti, che nella globalizzazione viviamo, siamo alla deriva, con i remi in barca. Poggiando, e mai orzando.