lunedì 12 maggio 2008

W i giovani

Sono ottimista. Oggi arrivo al lavoro e cerco parcheggio. Un anziano signore mi fa capire che sta per salire sulla sua automobile. Ecco le vecchie generazioni che lasciano il posto alle nuove. E poi dicono che viviamo in un paese gerontocratico.

giovedì 8 maggio 2008

LA PRIVACY DI GRILLO


Il giornale di cui pensavo essere il condirettore, oggi pubblica un articolo che mescola il fenomeno Grillo con l’argomento di attualità di oggi che è la questione dei redditi sventolati ai quattro venti.
Non condivido la scelta di intrecciare i due argomenti. Il fenomeno Grillo è questione molto delicata. Difficile da dipanare senza sviscerarla con un’analisi obiettiva. Obiettiva innanzitutto, da fini politici. Obiettiva, nel senso di non nascere già viziata da pregiudizi indotti dalla forza mediatica delle forze pro-Grillo, contro-Grillo, e di Grillo stesso.
Premetto, per il lettore, che non mi definisco un osservatore particolare delle vicende politiche di questo paese. Umilmente raccolgo le impressioni di quello accade con i strumenti da cui può attingere qualsiasi italiano: la TV, i giornali, la radio e la partecipazione in Piazza ad eventi, comizi. Comizi, anche se non li chiama più nessuno così. Non posso quindi vantare informazioni di prima mano, scoop, o interviste ufficiose, rilasciatemi da chi è informato dei fatti o a conoscenza di scabrosi retroscena.
Non amo Grillo, né Travaglio, né Di Pietro. In particolare di Di Pietro non tollero il cattivo ed improbabile uso dell’italiano. Non lo voterò mai per questo. Punto.
Detto questo, mi permetto di porre un paio di osservazioni. Grillo, da comico, ha svolto una serie di campagne di inchiesta che hanno avuto il merito di portare all’attenzione dei più questioni spesso censurate o comunque oscurate dalla informazione ortodossa. È stato bravo a veicolarle con la vis comica che gli è propria. Utilizzando degli strumenti innovativi per il dibattito sociale e culturale del paese: internet. Molti, politici, giornalisti - penso ad esempio a Daniele Capezzone - hanno provato a fare lo stesso. Capezzone, in particolare, creando il network Decidere.net. Ma nessuno è riuscito a catalizzare lo stesso consenso ed la stessa attenzione di Grillo. E bisogna riconoscerglielo. Anche perché l’inchiesta, in Italia, è disciplina che non esiste da tempo. Tranne sparuti casi, es. la Gabanelli di Report, non esiste più nelle redazione giornalistiche la figura del giornalista che fa inchiesta, il giornalista d’assalto. In compenso, i giornalisti nostrani hanno tanti avatar e altrettanti blog. Stanno a casa lamentando il precariato che non gli permette la flat. Bene.
Da questo punto di vista, se il fenomeno di Grillo si esaurisse nella formula inchiesta – satira, sarei dell’avviso che Grillo, indipendentemente da quanto guadagna, è da considerarsi una risorsa del paese. Almeno per quanto riguarda la salute del sistema informativo.
Ma non è così. Grillo ha coagulato attorno a sé molte persone. Pezzi interi della società civile. È uscito dai teatri, e ha lasciato lo studio da dove gestisce il suo blog, per invadere con il suo Circo le Piazze. La sua attività di denuncia si è colorata e si è sostanziata di esternazioni che sono “politiche”. Esternazioni, che hanno riempito quel vuoto, che hanno colto l’opportunità che le sue stesse inchieste avevano preparato. Ecco. Questo è il punto.
Gli spunti che Grillo pone hanno creato degli spazi. E questi spazi vanno riempiti. Le sue inchieste impongono delle riflessioni. E le riflessioni vanno raccolte. Ma non può essere lo stesso soggetto che le raccoglie. A meno che questi non si identifichi come tale. Ovvero decida che il tempo dell’inchiesta è finito e che adesso inizia una fase politica della sua azione. Se Grillo vuol fare il Politico, bene. Giochi le sua carte. Ma lo dica. Lo comunichi in maniera trasparente. Indipendentemente da quanto è il suo reddito. Sarà l’opinione pubblica a valutare la sua coerenza, la sua immagine. La sua capacità di interpretare e rappresentare la società.
Finché Grillo continua a mescolare le esternazioni che hanno natura e connotazione politica alle inchieste, alle denunce, e continuerà a farlo con toni urlati e qualunquistici non è credibile. Né come comico, né come politico.
Caso emblematico è la sua esternazione su Veronesi. Grillo sostiene che Veronesi non è credibile quando dice che gli inceneritori non fanno male. Questo perché la sua Fondazione vede tra i principali sponsor una delle aziende leader nella produzione di inceneritori. Nella stessa esternazione c’è un pezzo di un monologo comico, satirico ma anche un’esternazione dal contenuto politico. È una posizione conflittuale. Equivoca, superficiale.
Dimostra poco rispetto e poca responsabilità nei confronti della piazza che ha saputo coagulare attorno alle sua forme comiche di protesta.
Ma allora? Allora ritorniamo al problema fondamentale della nostra democrazia rappresentativa da cui non ci sentiamo veramente rappresentati. Alla necessità di investire nella amministrazione della propria cosa pubblica. Bisogna uscire da certi schemi obsoleti. È utopistico pensare ad un uomo politico senza interessi e senza macchia. È indispensabile riformare il meccanismo di rappresentanza politica. Chiunque deve poter scendere in Politica. E deve poterlo fare raccogliendo i fondi, le risorse da coloro che intendono appoggiarne la candidatura. E bisogna abituarsi a farlo in maniera trasparente ma anche impegnata. Partecipativa. Estremizzando mi verrebbe da dire: “Alla sera niente TV. Si va alla riunione in cui si decide come costruire il proprio futuro!”. Dal basso.
È anche vero che un fenomeno come il grillismo non ci sarebbe se ci fosse una Politica che sappia dare speranza e visione. Non è vero e non voglio credere che l’italiano oggi si accontenta della ricetta take away proposta dalla destra berlusconiana. Personaggi come Gasparri, o come Ronchi, come La Russa, Cicchitto, Sacconi, Tremonti stesso, non possono essere i rappresentanti di un paese come il nostro. Sono reduce da un breve periodo trascorso in Francia dove ho dovuto sentire il ritornello classico dell’italiano all’estero:”Qui funziona tutto e meglio”. “Siamo meglio organizzati, meglio protetti, meglio tutelati, meglio pagati”. “In Italia fa tutto schifo”. Già, come fosse un paese del terzo mondo. Dove il politico medio si chiama Cuffaro, la Sicilia è tutta mafiosa e non ci sono più le mezze stagioni.
L’economia che dipinge Tremonti è un’economia di piccolissimo periodo. Di chi ha la visione del consigliere di amministrazione, o del consulente fiscale. Gergalmente detti “Ragionieri”. Quei ragionieri che sanno come dichiarare 10 mila Euro di fatturato pur gestendo i conti economici di Aziende che fatturano milioni di Euro. Ah scusate violo la privacy…
Abbiamo bisogno di un Politico che abbia il coraggio e la vocazione per parlare di solidarietà, di energia nel rispetto del pianeta. Di chi auspica una riduzione della sperequazione globale e locale. Di uno che in politica estera sappia uscire dallo schema pro o contro Israele ma ponga una questione antimilitarista in senso lato. Riferita a tutti i punti caldi del pianeta.
Che cerchi di farsi promotore di una politica delle alternative contro quella muscolare impressa ferocemente da Bush.
La Cina ha investito ingenti somme di denaro in armamenti per fortificare e proteggere i gasdotti attraverso i quali si approvvigiona dal Pakistan. Prima o poi il rischio di una crisi militare che parte dal Sud Est Asiatico sarà sempre più concreto.

Bisogna credere in un futuro migliore per il pianeta. Gli aerei e internet ce lo fanno sembrare così piccolo che induce quasi tenerezza.

lunedì 5 maggio 2008

MF INTERVISTA FRANCESCO REMOTTI

LibMagazine: non pensa che deideologizzare la politica a sinistra abbia anche svuotato la cultura di sinistra? Come riempirla ora, come ricostruirla?

F.Remotti: la sinistra era il marxismo. Quella era l’inspirazione. Oggi, per quanto a me piaccia dire che rileggersi il buon vecchio Marx non faccia male a nessuno, il marxismo si è autoeliminato. Il marxismo era una profezia laica che aveva il grande punto debole di pensare di sapere dove andava il mondo. La Chiesa può permetterselo perché ha altri strumenti.

LibMagazine: le maschere di cera?

F.Remotti: diciamo di si.

continua

giovedì 1 maggio 2008

PUNTO ESCLAMATIVO

Nell'iperattivismo quotidiano ci si ritrova, spesso, soli. Egoisticamente, cinicamente soli. C'è una forma di affermazione che l'uomo vive su di sé. Un affermazione di sé sopra di sé. Sé, Che poi è il compagno di banco. Il vicino di sedia, colui che coabita la striscia pedonale o il rosso al semaforo.
Un'affermazione non può non passare se non attraverso la sopraffazione. Perchè non esistono affermazioni, quelle stentoree, quelle perentorie, che non siano prevaricatrici. Sono supportate dalla ragione, hanno a sostegno delle tesi, vengono da una logica deduzione o da un civile scambio dialettico. Bene. Ma alla fine dell'affermazione, il punto esclamativo è il vessillo che pianti sul terreno ideologico dell'avversario. E' il segno della conquista della rugbystica yard. E si finisce soli. Perchè quando si è chiuso il ragionamento con un' affermazione vincente, si è comunque perso qualcosa.
Cazzo che vuoto! Ed il punto esclamativo te lo infilzi nello stomaco. Quello stesso vessillo che, prima, avevi piantato alla fine della corsa verbale, dalla sella della tua sintassi galoppante.
E così è andata anche oggi. Quando alla fine della giornata ti accorgi che dietro il tuo trattore iperproduttivo hai lasciato tanti punti esclamativi. Messi, (ch) e non germoglieranno. E scopri una delle mille storie che da sopra del tuo trattore non riesci neanche ad ascoltare. Che ignori. Quella di chi vede cambiare la sua vita, radicalmente per l'improvvisa morte del padre. L'attività di famiglia, il ristorante non è più sostenibile. Lo chef è il vantaggio competitivo. E' il perché alla sera c'è gente o non ci sono coperti. Si chiude. Perché una giovane figlia, ferita nell'intimo, non riesce a tenere duro. Non ce la fa. E lascia l'attività.
Adesso, tanti piccoli lavori, tante piccoli parti come se la vita fosse fatta da tanti film. Sperando che un bravo regista ti prenda finalmente per un ruolo più consono. Certo, nel mondo del cinema o del teatro, chi durante la gavetta faceva la prima puttana generalmente ha avuto, poi, grande successo. Ma la vita non è il cinema. E non è il teatro anche se, spesso, è una tragedia. E la puttana la si deve fare prostituendo la propria natura, le proprie inclinazioni allo strapotere borghese. Quello che premia l'arrivismo del manager napoleonico, piuttosto che la bonaria e un po' pacioccona maestra d'asilo. Che preferisce il giovane smaliziato e sgomitante, al più pacato e riflessivo analista. Una società che sostituisce le segretarie come inutili commodity. Una società, la nostra, fatta di figli che non hanno ancora imparato a rispettare la madre. Che non hanno ancora capito che è una donna.